RICORDA

52100 Arezzo,
via Fantastica, 33

Iconicità

 

“La testa può girare e raggiungere spazi / sconosciuti a chi è fermo” dice un passaggio di Mio nonno Polifemo, e in questi due versi s’indovina uno degli aspetti più importanti, forse fondamentale, di questo poema: l'incessante presenza dello straordinario, di una realtà spirituale a fare da specchio alla cronaca, alla vicenda corporale. Ed è quasi impossibile parlare di questo aspetto - che poi non è un semplice “aspetto”, altro da altro, ma come la corteccia dell'albero, la carne attaccata alle ossa - giacché il sorprendente di questo racconto in versi è l'ininterrotto stare insieme di un trascorrere spirituale tra vicende materiali e persino rozze. Qualcosa di simile all’entità che attraverso l’anima è unita al corpo.

  1. 2.L'enigma credo sia il nocciolo di questa scrittura, che non si preoccupa né di essere compresa né di seguire una logica. È come un flusso inarrestabile di ricordi che entrano uno nell’altro senza un nesso,senza ordine, senza consequenzialità. Come nei sogni. Un fatto entra nell’altro, un tempo nell’altro: nonni, padri, figli, madri, bambini, bambine, alberi, case, cieli, animali, montagne, chiese, buchi, uomini, stelle si confondono in un grande teatro che è Cortona, ed è Arezzo ed è l’Amiata e Firenze ed è un paese qualsiasi del nostro centro della penisola in una magra esistenza di terra e di nuvole.
  2.  Lo stile è sconnesso, appunto, e sibillino. Procede più per sintesi, sentenze e squarci che per respiro narrativo.

Non è poema. Il verso ha solo la lunghezza del decasillabo, ma non il canto, non l'andamento né la sintonia con gli altri versi - sono più righe che versi, anche se in taluni versi il canto prorompe disteso.

Non è racconto perché non ha la successione del narrare né rispetta il tempo né una logica interna.

Eppure è poesia. C'è qualcosa d'indefinibile, non afferrabile, che muove il sentire e il pensiero. Così ci sono lampi memorabili: "La stagione prevede, tra l'altro, / che la neve si sciolga da sola", dove quel "tra l'altro" ha ruolo sviante, evocativo, "Disorienta seguire la pioggia / sulla traccia di un grosso torrente" o “I palazzi non servono a niente / se i signori li usano male": sentenze che hanno il movimento della poesia ma che subito vengono tradite dalla prosa o da uno stacco troppo brusco ad altro luogo, ad altro argomento. È come un procedere a singhiozzo piuttosto che nel ritmo del sentire. Ne viene uno stile oscuro, spesso incomprensibile, un paesaggio fatto di scorci continuamente spostati o sovrapposti.

  1. Ma prendiamo lo sguardo di questopoeta: "A Cortona c'è stata la calma delle stelle che s'usano meno". Verso enigmatico, non meno delle altre sequenze. Quali sono le "stelle che s'usano meno"? E da dove viene quella calma? Dal fatto che la gente dorme? Sono le stelle non guardate? Mirabile quella "calma delle stelle", che fa presagire cieli sereni e anche i pulsar che ritmicamente segnano il tempo alle energie cosmiche.

Le svolte metafisiche non sono poche in una storia che vorrebbe essere di epica volgare e di cronaca d'un paese e una generazione. Per metafisica non intendo vacui "spiritualismi" o troppo abusati "misticismi", ma appunto un fisico sottile, una sostanza entro il corporeo - proprio come Cristo dice ai postulanti: "Il regno dei Cieli è dentro di voi”.

"Consumare una stella o due stelle / è lo stesso che uccidere un bruco": una visione cosmica in cui le cose si equivalgono nell'essenza, in cui alto e basso, corporeo e spirituale sono uniti nella vicenda. Così quando dice: "Ero stato coperto di fiamme / e volevo raggiungere il mare" e l'uomo non sa cosa dice, "atterrito / dalle luci che bucano l'aria" , o quando "non c'è niente che possa impedire alla luce di andare più in alto" con quella chiusa impossibile, "se c’è un vecchio che vuole dormire": il piano del dire diventa aperto, alla maniera di Hoelderlin e di Heidegger, riflesso di ogni riflessione, proprio come gettando un sasso in acqua si allargano i cerchi sino all'invisibile dell'acqua. Non è metafisica propositiva, è quella consueta alla vera poesia. Quella che la Cvetaeva afferma provenire dall'impossibile.

Si entra in una realtà che subito richiama un'altra realtà, che ancora allude a qualcosa, e poi ancora a qualcosa: "Era stato rabbioso col cane / che di notte lo aveva sbranato, / e quest'uomo ha cercato le stelle / per avere un ricordo del cane". Dal cane si torna al cane, ma attraverso le stelle: dalla rabbia al ricordo.

  1.  Qui la poesia è allo stato di natura, senza accorgimenti, senza raccordi. È simile a quei pensieri che ci sorprendono mentre si cammina e, come diceva Rousseau, sembra che il passo e l'aria generino quei lampi: hanno la pienezza delle rivelazioni.

Non sono evocazioni né invocazioni né percorsi della memoria, ma soprassalti presenze fulminee appunto.

C'è persino un po' di balbuzie, come nei toccati da Dio. Si ascolti questa sequenza: "Il silenzio che lasciano i nani / viene su dai paletti del pozzo. / La carrucola cigola e annoia. / C'è chi cala la secchia guardando / il didietro di un gobbo che affoga: / dentro il letto di un bimbo è nascosta / una serpe a ciambella".

La chiusa con un settenario o un ottonario non è rara tra i tanti decasillabi: Ma non è qui la magia di questi versi. Non c'è maestria tecnica in questa poesia, come non c'è ricerca estetica.

C'è un'urgenza di svuotamento e riempimento, c'è il "dover dire". Siamo all'interno della poesia in senso greco, un "fare" che sovrasta il "voler dire", un agire su di sé e sulla memoria del proprio mondo, una sete di elevazione dell'esperienza a ritrovamento della propria anima.

Lo stupore e l'incantamento ci vengono piuttosto dal paradosso, dalla dilatazione polisemica che ogni verso suscita in noi.

"Il silenzio che lasciano i nani": non c'è requie in questo verso. Davvero i nani lasciano un silenzio? e che tipo di silenzio? Irrisione? Rancore? E che differenza c'è col silenzio lasciato dagli altri uomini?

Ma qui i nani sembrano evocare elfi, gnomi, figurazioni di fiaba. E ci pare di coglierlo come una scia, un pulviscolo d'oro, questo silenzio lasciato dietro e davanti a noi come a rammentarci qualcosa, a parlarci dell'altro lato della vita, dell'ombra che ci segue o che noi seguiamo nel buio del sole.

Nulla chiarisce l'altro verso - "viene su dai paletti del pozzo". Anzi, complica ogni nostra pretesa di "spiegazione".

Dunque, il silenzio dei nani somiglia al silenzio che viene su dal pozzo. Èlo stesso silenzio. E il simbolo del pozzo è stranamente ancor più edipeo: il profondo di noi? lo specchio? la sorgente? È dal silenzio che insorge il sentimento di Dio. Ecco che lo specchio del pozzo diventa uno sguardo su di noi e sui segreti dell'esistenza, sull'origine delle forme.

  1. Ma di nuovo “la carrucola cigola e annoia”.Non è silenzio, ma rumore, e da quel rumore viene il tedio. Così è della chiacchiera umana e del rumore del pensiero intellettuale; così è del vuoto rumore del tempo e delle vicende umane. Viene in mente la celebre sentenza del padre del deserto: "Uno può parlare a lungo rimanendo in silenzio, mentre una sola parola può essere piena di rumore".

"Cigola e annoia”Nibbi non ha mai un momento di assenza, è sempre presente all'ascolto, la parola sembra fluire da una interiorità sprezzante della comprensione mentale: chiama il cuore e sollecita qualcosa di più profondo. C'è un'esigenza superiore, che proviene dalla volontà di dar unità e forma al passato, farlo riemergere, non più nella sua storia, ma nella sua vita nascosta, nella significazione originaria - un segno che è puro segno, richiamo.

Lo spostamento è sempre una scossa e porta altrove, rovescia ogni intendimento. Crediamo di aver raggiunto un approdo, ed ecco un altro mutamento: "C'è chi cala la secchia guardando / il didietro di un gobbo che affoga": quel cigolio non è metafora, c'è davvero qualcuno che lavora al pozzo, e vede riflessa nell'acqua la gobba o il culo o le spalle di uno che sta per affogare - ma può.essere un immaginario popolare che sa sempre vedere forme e significati nelle più piccole cose della natura o della quotidianeità. Ed è ancora "detto" popolare il legame che sposta ancora una volta lo sguardo: "dentro il letto di un bimbo è nascosta / una serpe a ciambella" che non è solo diceria di paese, forse esperienza personale - anch'io, a dire di mia madre, dormii sulle colline di Genova con uno scorpione nella culla – forse conseguenza di quel silenzio, o di quel nano, o del gobbo o un riflesso del pozzo o nient'altro che se stesso che riunisce nello sguardo dell'oggi ciò che è accaduto e accade nelle viscere del mondo.

  1. "La testa può girare e raggiungere spazi / sconosciuti a chi èfermo": forse è il segreto di tutto questo amalgama e anche di questa poesia: basta un movimento per entrare in ogni realtà: una nell'altra, una accostata all'altra, come, appunto, nei sogni. Non dicono forse le filosofie indù che "la vita è sogno" - non solo Calderon.

Quel settenario "la testa può girare" può essere un'ebrezza, un movimento mistico o poetico che raccoglie al fondo della nostra anima tutto ciò che vi si è depositato, per esperienza, per antica memoria, per una sapienza che va oltre l'io e le sue pietose maschere mentali, oltre la consueta veduta, oltre l'abitudine a pensare e a pensarsi: il corpo parla, l'anima parla, lo spirito fonde.

"La testa può girare" e gli spazi sconosciuti si palesano - gli spazi si

annullano come i tempi - il presente attrae alla inconosciuta coscienza passato e futuro, dà loro un diverso motivo di essere.

È così lieve il moto dello Spirito, è un soffio! Quindi basta questo per far "trascolorare il sembiante", come più volte accenna il nostro grande fiorentino, e per far roteare lo sguardo e cambiare il vedere. "E però mi giunse un sì forte smarrimento, che chiusi li occhi e cominciai a travagliare sì come farnetica persona ed a imaginare": non voglio citare a sproposito la Vita nova, ma analogo è l'abbandono del poeta a quel movimento che muta sguardo e lo fa cambiare.

  1. "Circolare la terra di sopra./ Circolare la terra di sotto. / Tutto il magma ruota e finisce": una visione a geometria tolemaica.

I cerchi concentrici sono verticali: l'uomo, il luogo, il "punto vagante".Entrano uno nell'altro come una proiezione iconica. Basta "girare la testa". La presenza di Margherita non è edificante, è corporea, è viva nel paese, nella gente, "la sentono in Poggio", la sentono gridare mentre col "suo cane guarda nel lago": è viva nel ripetersi del tempo e delle forme. L'elemento "vagante" è dentro di noi e fuori di noi, non ha luogo e non ha tempo, acquisisce tempo e luogo nel quieto movimento dell'anima.

  1.  In un piccolo libro di prose, L'antico dei giorni, c'è un passo che è un'inconscia (?) dichiarazione di poetica: "Ogni volta che il bambino lasciava riposare il foglio sul banco (potrebbe esserci una squisita assonanza con "bianco") le lettere si combinavano e ricombinavano a loro piacere, perché avevano contratto il bacillo del poeta. Componevano e scomponevano le parole tradizionali per trovare nuovi significati".

Come nel concetto del "girare la testa" c'è tutto il poema-saga di Polifemo: un "combinarsi e ricombinarsi" a "trovare nuovi significati", un mosaico che muti continuamente la fonte di luce. Ed è ancora più interessante, è "il bacillo del poeta". Strano germe e strana malattia. Sembra che qualcosa invada il poeta e lo induca alla poesia - è un atto di obbedienza e di ascolto. La voce viene mossa dall'ebrezza e dal respiro a quel movimento della testa che riscopre le cose.

Ritroviamo la "malattia" in Ta Kai Ta. Ma qui l'iconografia è più semplice, perché del tutto personale: un bambino alla scoperta del sesso. Non ci sono cerchi concentrici: è la vicenda del corpo. Anche il paesaggio e l'altrui presenza sono il contorno al proprio “giocare con gli amici, la Lilli e la Maria”. Il tono è volutamente abbassato: dal defecare, al pisciare, allo sperma, al buco, allo sporco, allo scolo di lavatoio, al ranno di scarico: tutto il lessico è intriso dell'odore dei corpi e del fornicare.

Anche se il "bacillo della poesia" è qui più pertinente nella forma e più aderente al morbo. C'è più connessione esterna, più intenzione di "scaricare la memoria", più racconto.

Se per Polifemo possiamo alludere ad una esplosione, o implosione, dell'anima per Ta Kai Ta abbiamo una confessione, un rammemorare, sia pure poetico, un ri-tornare sull'esperienza. Qui l'anima vuole davvero narrare. Mentre nel poema del nonno, Nibbi si lascia portare dalle parole, qui vuole ordinare le parole. È sempre il corpo il protagonista, ma l'anima è attenta a coglierne l'esperienza, a voler dire tutto attorno alla "sua" storia infantile del sesso. Non più saga di un paese, ma epopea di una individualità. Viene a mancare quello "scompaginarsi" delle parole che fanno entrare una collettività in un uomo e viceversa. I "passaggi" sono, come sempre, molto veri e molto belli, ma viene a mancare con l'ampiezza l'iconocità.

  1. Vorrei che questo libro fosse capito econsiderato nella sua straordinaria bellezza poetica: i soprassalti di un'anima mentre una coscienza umana si è avviata a recuperare una storia.

Il mio non è un invito estetico, come non c'è intenzione estetica nel “fare” di questo poeta - lo ripeto per non indulgere agli equivoci letterari - ma un richiamo a lasciarsi pervadere dalla verità e dagli umori di questo lungo parlare di sé e del mondo. Del resto, i canoni estetici mutano col passare delle ideologie, delle visioni del mondo, delle preminenze intellettuali e culturali. Ciò che oggi potrebbe essere considerato rozzo in Jacopone o nelle prose di Dino Compagni o Cola di Rienzo o nei poemi veneziani della guerra tra castellani e arsenalotti o in taluni provenzali, il tempo, la distanza ha caricato di valori estetici. Perché la sostanza è ciò che conta - la poesia non ha forme prestabilite, anche se tende a una certa possibilità della forma, all'armonia. Cosa ci dice? cosa ci muove dentro una poesia, un'opera d'arte? Non sempre ciò che capita nella vita è spiegabile o ha una forma soddisfacente alla nostra mente. Dice Romano Guardini, proprio a proposito dell'opera d'arte: "Qualcosa affiora sempre. Non si sa che cosa sia, né dove sia, ma si sente nel più intimo di noi la sua promessa”Ecco, la promessa di Nibbi è "lo scotimento", il brusco insorgere di un soffio all'interno del suo parlare. Forse l'ha fatto per sé, forse l'ha fatto per noi. Non importa: ne usciamo con molti pensieri in più e molte emozioni inspiegabili. È tutto ciò che basta alla "promessa" e alla sua mancanza di intenzionalità umana.

 

                                                                                             Franco Loi